Albergo dei poveri: I quattrocento anni di Emanuele Brignole
Il 27 agosto 1617 nasceva il grande benefattore genovese, fondatore dell’Albergo dei Poveri
L’Albergo dei Poveri è l’edificio più grande della città ed un eccezionale fondale scenico nel panorama di Genova, specie per chi l’ammira dal mare. Meno noto a chi si deve questo eccezionale sforzo costruttivo, Emanuele Brignole, di cui ricorrono oggi i quattrocento anni dalla sua nascita. È il 27 agosto 1617 quando in una sontuosa villa sulla collina di Albaro, l’attuale Istituto Marcelline, vede la luce quello che diventerà uno dei più grandi benefattori genovesi. Siamo nella stagione della villeggiatura delle famiglie aristocratiche nelle loro residenze di campagna e i Brignole, che erano di recente entrati a far parte del patriziato, di ville in quel lembo di terra fra le due creuse di via San Nazaro e via Parini ne possedevano ben quattro, uno status simbol irrinunciabile per i nobili di quel tempo.
Originari dell’entroterra di Rapallo, dove nel Quattrocento risultano attivi come artigiani dediti alla filatura della lana e della seta, i Brignole già nel Cinquecento manovrano un’ampia rete commerciale che si estende a diversi stati europei e compiono quella scalata ai vertici della società genovese che culminerà con l’elezione a doge di Gio Francesco nel 1635.
Anche Emanuele viene indirizzato fin da piccolo all’esercizio della finanza, nella quale però vedrà sempre non un fine, ma un mezzo per poter disporre dei capitali necessari da utilizzare per quello che in realtà sentiva come il vero scopo della sua vita: le opere di carità. E inesauribili saranno l’energia e i capitali da lui profusi in questo campo, dalle attività meno note, come i contributi offerti per la costruzione del Seminario Arcivescovile e della Casa della Missione di Fassolo e per il mantenimento del Lazzaretto della Foce, fino a quelle che più marcatamente portano la sua impronta, come appunto l’Albergo dei Poveri. Ma anche il costante sostegno economico a favore dell’istituto di Nostra Signora del Rifugio al Monte Calvario fondato da Santa Virginia Centurione Bracelli, le cui suore sono ancora oggi chiamate “Brignoline”. Per loro Brignole costruì a sue spese un’intera ala del convento, distrutta nell’Ottocento per far posto alla stazione ferroviaria che porta ancora il suo nome.
Ma è naturalmente l’Albergo dei Poveri, che sorge a partire dal 1656 d’intesa con i vertici della Repubblica, la più significativa espressione del suo credo e della sua volontà, se non di risolvere, quando meno di arginare il problema della povertà, piaga che affliggeva tutta l’Europa di quel tempo e che non risparmiava neanche la Genova dei secoli del suo maggior splendore. La risposta di Brignole è quella di un gigantesco contenitore nel quale accogliere le più svariate categorie di disagiati “Poveri vecchi e donne vecchie, figliuoli spersi, orfani e abbandonati, le adultere, male maritate e penitenti, le donne gravide povere, gli uomini bestiali, i mendichi poverelli, disturbatori per lo più nelle chiese…” per dirla con parole sue. Dietro la sontuosa facciata simile a una reggia, o comunque ai palazzi nobiliari genovesi, si cela dunque un universo di varia umanità dove i ricoverati, suddivisi in base all’età e alle condizioni fisiche e sociali, venivano inseriti in un sistema rigidamente organizzato. La loro giornata si articolava attraverso momenti di preghiera ma soprattutto di lavoro, che erano costretti a svolgere in appositi ambienti approntati all’interno, contribuendo così al loro mantenimento ma percorrendo anche un cammino di “redenzione” e di riscatto sociale. Questo sistema, al quale non era possibile sottrarsi in quanto l’Albergo funzionava come reclusorio, era una soluzione aggiornata sulle coeve esperienze europee ma una novità assoluta per l’Italia. Genova si pose quindi come antesignana di analoghi edifici che sorsero in altre città afflitte dal problema del pauperismo, fra le quali Napoli e Palermo.
Questa soluzione susciterà perplessità nell’ambiente genovese se non addirittura aspre critiche che nel 1674 pioveranno addosso a Brignole, anche per le eccessive spese di abbellimento da lui volute, costringendolo a lasciare Genova. E’ senz’altro per questo motivo che nello stesso anno contrarrà una strana patologia di natura psicosomatica, che potremmo definire un disturbo gastro-intestinale da “stress”. Il risvolto curioso è che la cura di questo illustre paziente accenderà una vivace disputa circa le modalità di cura a colpi di trattati scientifici fra i due medici che assistevano Brignole, il genovese Filippo Trombetti, e Stanislao Omati di Piacenza, città nella quale il benefattore si era rifugiato dopo la “fuga” da Genova.
Ma è proprio dalle sofferenze causate dall’incomprensione da parte della sua città che emerge la sensibilità di Emanuele Brignole e la sua volontà di agire in maniera disinteressata e tutta volta al benessere dei suoi assistiti. Una carità che vive lui stesso in prima persona adattando progressivamente il suo stile di vita a quello dei poveri. Lascia lo sfarzoso palazzo di famiglia per trasferirsi in un appartamento più modesto, veste in maniera dimessa, si reca quasi ogni giorno a piedi all’Albergo dei Poveri, rifiutando la portantina anche quando è in là con gli anni, per accertarsi personalmente delle condizioni dei ricoverati.
Una condotta di vita che culminerà al momento della morte, avvenuta nella notte fra il 7 e l’8 gennaio 1678, con la decisione di farsi seppellire nella chiesa dell’Albergo, rivestito della divisa indossata dai poveri e sotto una lastra senza nome, posta all’ingresso della chiesa. “Povero fra i poveri”, come egli stesso lasciò scritto nel suo testamento “affinché il suo cadavere giaccia sempre sotto i piedi de’ Poveri, che grandemente amò in vita”.
Annamaria de Marini
autrice del libro “Emanuele Brignole e l’Albergo dei Poveri di Genova” (Stefano Termanini Editore, 2016)
L’articolo I quattrocento anni di Emanuele Brignole sembra essere il primo su Albergo dei Poveri.