Notizie metropolitane Genova: Quando i bambini venivano abbandonati sulla ruota, al Museo dei Cappuccini un pezzo di Provincia
C’è anche la ruota degli esposti dell’Ippai – Istituto provinciale per la protezione e l’assistenza all’infanzia, fra gli oggetti che raccontano la storia dell’assistenza sanitaria a Genova nella mostra Pammatone: dagli Hospitalia all’Ospedale. L’assistenza sanitaria Genovese dal morbo Gallico allo sviluppo scientifico, che apre oggi al Museo dei beni culturali Cappuccini (viale IV Novembre, 5, Genova) per chiudere l’1 luglio: Città metropolitana di Genova infatti, che è fra i patrocinatori della mostra curata da Daphne Ferrero e Luca Piccardo, ha prestato al Museo questo oggetto conservato nell’Archivio storico dell’Ippai, proprietà della Provincia di Genova, che è strettamente legato al tema della mostra perché nei secoli passati, prima dell’istituzione delle Province nell’Italia unitaria, era proprio l’Ospedale di Pammatone a occuparsi dei bambini abbandonati.
L’archivio degli Esposti dell’ex Ippai, oggi appunto proprietà della Città metropolitana ex Provincia di Genova e conservato nella sede di via Maggio a Quarto, raccoglie non solo la documentazione prodotta dall’Ippai e dai precedenti enti della Provincia che si occuparono dell’assistenza all’infanzia abbandonata a Genova per oltre un secolo, dal 1873 al 1978, ma anche carte più antiche di qualche decennio, risalenti fino al 1806 e prodotte dalle amministrazioni che precedettero l’Ippai nello stesso ambito: prima del 1873 e fin dal XV° secolo, infatti, a Genova erano stati l’Ospedale di Pammatone e poi gli Ospedali Civili ad occuparsi dell’assistenza agli ‘esposti’, attraverso gli Ospizi degli Esposti gestiti da apposite Commissioni, nel solco di un’antica consuetudine della Repubblica di Genova consolidata poi dall’ordinamento francese e lasciata invariata da quello sabaudo.
Ecco una breve sintesi storica sulle origini e l’evoluzione dell’assistenza dell’infanzia abbandonata a Genova, tratta come dall’introduzione allo Statuto organico dell’Ospizio per l’infanzia abbandonata di Genova del 1873:
Uno dei dipinti raffiguranti l’antico Ospedale di Pammatone (che sorgeva nel luogo in cui oggi c’è il Palazzo di Giustizia) in mostra fino all’1 luglio al Museo dei Beni culturali Cappuccini
“Come si rileva da una bolla di Papa Alessandro VI del 26 marzo 1496 autorizzante la questua per l’ospedale di Pammatone, quell’Opera aveva lo scopo determinato di ricevere ed allevare i bambini sì legittimi che spurii abbandonati dai loro genitori; ed era già in quell’epoca aggregata all’ospedale Pammatone, la cui amministrazione diresse poi sempre il servizio degli esposti. Fino allo esordire del presente secolo, la Liguria non aveva altro ricovero, (…) all’Ospizio di Genova avviavansi i trovatelli delle due riviere, quando al loro allevamento non si potesse altrimenti provvedere. Ma aggregata la Liguria all’impero Francese (…) fu forza aprire altri ricoveri nei due capiluogo di dipartimento latistanti a quello di Genova, e sorsero così due ospizii di Savona e di Spezia. La ristorazione (Restaurazione, ndr) anziché restringerli dovette accrescerli (…), Re Carlo Felice dopo avere sminuzzato il suo già piccolo Stato in piccole provincie, colle RR.PP. 15 ottobre 1822 prescrisse che in ognuna di esse dovesse esservi un’amministrazione speciale per gli esposti, e quindi altri due ospizii si aggiunsero nelle due provincie, ora Circondarii, di Chiavari ed Albenga. (…) L’amministrazione degli esposti sotto gli ordinamenti francesi erasi affidata alle così dette Commissioni degli Ospizii, a cui spettava pure l’amministrazione degli ospedali (…) In oggi ancora le amministrazioni degli ospedali locali sono quelle che hanno il governo degli ospizi per gli esposti, annesso degli ospedali, coi quali anzi fino a pochi anni or sono avevano comuni i bilanci”
La ruota degli esposti dell’Ippai nell’allestimento della mostra sulla storia degli ospedali genovesi al Museo dei Beni culturali Cappuccini.
La ruota degli esposti visibile nella mostra al Museo dei Cappuccini, un tamburo girevole di legno di cui possiamo immaginare le dolorose memorie, era una delle tante esistenti in città in conventi di suore ed orfanatrofi. Le madri che abbandonavano i proprio figli erano giovani donne che non potevano prendersene cura perché povere o malate o che non volevano farlo perché il bambino era ‘frutto del peccato’, ovvero di una relazione extraconiugale o di uno stupro, come capitava alle servette di famiglie benestanti. Non mancavano poi i bambini abbandonati perché disabili. Nell’Ottocento questi bimbi abbandonati sulle ruote a Genova finivano come detto negli Ospizi per gli esposti, che furono gestiti dagli Ospedali Civili, ovvero dall’amministrazione di Pammatone, fino al 1865: in quell’anno una legge attribuì l’assistenza dei bambini abbandonati, così come quella dei malati di mente, alle neonate Province, nuove ripartizioni amministrative dello Stato unitario ricalcate sul modello francese. La Provincia di Genova istituì così nel 1873 il nuovo Ospizio per l’infanzia abbandonata, con sede iniziale nel Conservatorio di Nostra Signora del Rifugio a Monte Calvario, e dispose che l’Ospedale Pammatone consegnasse “al novello Ospizio le carte contabili, i registri, i segnali di riconoscimento” della precedente amministrazione degli Ospizi degli Esposti degli Ospedali Civili (il cui archivio è oggi conservato presso l’amministrazione dell’ospedale di San Martino) cosa che avvenne per la documentazione più recente, dal 1852 al 1873.
La prima sede dell’Ospizio per l’Infanzia Abbandonata della Provincia di Genova, presso il Conservatorio di Nostra Signora del Rifugio al Monte Calvario sulla collina che oggi domina la stazione ferroviaria di Principe (foto tratta dal blog ‘C’era una volta Genova’)
Nel 1929 l’Ospizio per l’infanzia abbandonata cambiò denominazione, diventando Brefotrofio Provinciale con contestuale soppressione dell’ospizio di Chiavari, e poco dopo, nel 1931, iniziò un importante trasloco: venne infatti costituito un consorzio tra Gerolamo Gaslini, fondatore del grande complesso per la cura e l’assistenza all’infanzia tuttora esistente, la Provincia, il Comune, l’Università e gli Ospedali Civili, in cui si riconosceva alla Provincia autonomia di funzioni e di gestione in campo assistenziale e si sanciva l’obbligo di effettuare “il ricovero dei fanciulli infermi assistiti dal Brefotrofio provinciale nei contigui reparti ospedalieri dell’istituto Gaslini”, con costruzione di una nuova sede del Brefotrofio proprio presso l’ospedale Gaslini. Il trasloco nella nuova sede si concluse nel 1938 e il Brefotrofio provinciale fu nuovamente ridenominato Istituto provinciale per l’infanzia (Ipi). Nel 1947 il consorzio venne sciolto, ma l’Ipi rimase nel complesso del Gaslini, a fronte di un canone annuo d’affitto pagato dalla Provincia, ancora per vent’anni. Nel 1953 altro e definitivo cambio di nome: l’Ipi diventò Istituto provinciale per la protezione e l’assistenza all’infanzia, ossia Ippai, e infine nel 1967 venne inaugurata la nuova sede di Quarto, che restò in funzione sino al 1978 quando una serie di nuove norme (nuovo diritto di famiglia, leggi sulla tutela della maternità, regolamentazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, consultori, asili nido) si avviò la progressiva chiusura dell’Ippai e il passaggio dall’assistenza-parcheggio ai servizi aperti con inserimenti familiari nelle politiche per l’infanzia. Ancora nel 1976 i bambini abbandonati ospitati all’Ippai di Quarto erano 420.
Gli oggetti lasciati dalle madri ai bambini abbandonati sulla ruota per consentire un futuro riconoscimento.
L’Archivio storico dell’Ippai conserva molti oggetti ma anche decine di registri dove sono scrupolosamente annotate tutte le informazioni relative ai bambini ospitati: ora e giorno della nascita, giorno del battesimo, data della consegna e ora dello stacco dalle braccia della madre. E raccoglie toccanti testimonianze di un’usanza delle madri che abbandonavano i propri figli sulla ruota, quella di lasciare a chi li accoglieva un sacchettino di cotone con un oggetto diviso a metà o moncato di una sua parte, in modo che la madre, che conservava la parte mancante, potesse essere riconosciuta nel caso di una futura ricongiunzione: poteva essere una medaglia spezzata in due, un orecchino spaiato, una cuffietta bianca con il nastrino tagliato, un rosario cui era stato tolto il crocefisso. Ancor oggi nell’Archivio degli Esposti arrivano da Genova, dalla Liguria, ma anche dal resto d’Italia e dall’estero, persone sulle tracce delle proprie origini.
Fonte: Notizie Metropolitane Genova